Sull’ultimo numero di AIB Studi è uscito un lungo articolo intervista curato dal Gruppo di studio AIB Catalogazione, indicizzazione, linked open data e web semantico (CILW), di cui faccio parte.
Si tratta di una intervista sul futuro del catalogo nel mondo dei linked data, rivolta a cinque personalità del mondo dell’informazione e delle biblioteche: Marshall Breeding, Mauro Guerrini, David Weinberger, Paul Gabriele Weston e Maja Žumer.
Io ho avuto il piacere di curare la conversazione con David Weinberger, che mi ha regalato alcune riflessioni veramente splendide. Invitandovi a leggere l’articolo completo (è in Open Access, disponibile sia in italiano che in inglese), ricopio qui un passaggio che secondo me è importantissimo.
Anche nel mondo fisico un oggetto è una rete. Un libro è un libro solo in quanto parte di molteplici reti di significato. […] Queste reti di significato si intersecano fra loro e possono essere collegate con qualcosa all’esterno di loro stesse nel mondo, perché il mondo stesso è la totalità di queste reti di significato […]
I cataloghi, tradizionalmente, hanno dovuto fare una scelta su quale fosse il loro oggetto principale – i libri o altri oggetti fisici. Questa scelta riflette un tentativo di anticipare il modo in cui la maggior parte degli utenti vuole esplorare gli oggetti della collezione. Riflette anche le difficoltà logistiche che gli amministratori della collezione devono affrontare, dal momento che devono trovare un posto per ciascuno di questi oggetti. […] Queste sono tutte buone ragioni per cui i cataloghi si sono strutturati intorno a degli oggetti fisici.
Ma nell’era dei computer, noi possiamo fare quello che gli sviluppatori di software chiamano ‘binding dinamico’. Nel nostro caso significa lasciare che siano gli utenti del catalogo a scegliere di volta in volta quali sono gli oggetti primari nel momento in cui utilizzano il catalogo avendo un determinato progetto in testa. Una struttura di dati come quella dei linked data rappresenta lo stato del sistema molto meglio di qualsiasi altra cristallizzazione di quello stato, sia che si tratti di un catalogo tradizionale basato sugli oggetti, sia che si tratti dello specifico angolo di osservazione di un utente. È meglio lasciare che sia l’utente a decidere da sé – meglio nel senso che permette un maggior numero di utilizzi, compresi quelli che non sono stati previsti in anticipo.
Oltre a toccare il mio concetto preferito (il libro è una rete di conversazioni), Weinberger ci ricorda come uno strumento moderno deve saper permettere utilizzi imprevisti dai suoi stessi sviluppatori. Quante volte abbiamo litigato con i produttori di un software per biblioteche, così restii a sviluppare funzionalità di cui non vedevano l’utilità o il beneficio! Quante volte abbiamo imposto il nostro strumento agli utenti, disattenti ai loro bisogni imprevisti e imprevedibili (anche a loro stessi talvolta). Quante volte abbiamo operato partendo dallo strumento anziché dal bisogno, dalla struttura anziché dal contenuto, dalla teoria anziché dalla prassi. Abbiamo proceduto per anni con strumenti limitati, dal fiato corto, per rincorrere i bisogni degli utenti e fallendo quasi sempre. Cambiare senso all’operazione, invertire l’approccio, oggi può essere la strada giusta, l’unica percorribile.