Giovane sarà tuo nonno

I giovani non esistono. Sono una categoria di marketing, creata per isolare (e controllare) un certo gruppo di persone.

Ed è un’etichetta di comodo, perché assolutoria e indulgente.

Giustifica un prendere le distanze, come non volere ammettere le persone allo stesso tavolo.

Giustifica una resa: quando i “vecchi” dicono cose come “è compito dei giovani”, credono di mostrare stima e incoraggiamento, quando invece stanno rifiutando la responsabilità per quello che sono ancora in grado di fare, dimenticandosi che sono ancora lì, presenti e padroni dei propri incarichi, chiamati a fare qualcosa.

Giustifica uno stato di inferiorità: è giusto che guadagnino meno, è giusto che non prendano posizione, è giusto che non abbiano voce in capitolo, perché sono “altro”.

Vorrei che ogni discorso si fondasse su questo. Non esistono giovani. Esistono uomini e donne. Esistono uomini e donne, più o meno esperti. Esistono uomini e donne più o meno esperti di qualche cosa, e più o meno di qualcosaltro.

Io non voglio essere giudicato perché giovane: voglio essere giudicato perché capace (o non capace). La “gioventù” è qualcosa che traspare nell’energia delle azioni e nella freschezza del pensiero, non da altro. Questo va cercato – in ogni età.

Sarà che sono ossessionato dal concetto di età anagrafica; sarà che ho una mentalità antistorica, sarà che prendo ispirazione da Tolkien e da Chesterton; ma non riesco a non essere insofferente per quest’etichetta che viene rivolta anche a me, per quanto spesso in buona fede e da amici cari.

Quando qualcuno mi dice “eh ma tu sei giovane” vorrei rispondergli parafrasando Vittorio Gassman: “giovane sarà tuo nonno!“.

Giovane sarà tuo nonno

I cowboy fantasma colpiscono ancora

Happens all the time. But I AM the librarian.

Questa volta non sono più gli zombie a infestare il campus del MacPherson College, bensì una gang di cowboy fantasma del Kansas, che mettono a soqquadro la Graham Library del Coffeyville Community College alla ricerca di un vecchio documento.

Gli stessi autori della guida della Biblioteca dei morti viventi (Mtt Hupson e Michael Hall) hanno colpito ancora, realizzando un altro pregevole manuale introduttivo ai servizi della biblioteca a fumetti.

A fumetti! Sono solo cambiati i protagonisti: questa volta una ragazza sveglia che sceglie la biblioteca come luogo per un appuntamento con il suo ragazzo (un po’ annoiato, lo sprovveduto), un bibliotecario armato di tablet e una gang di cowboy fantasma.

Se davvero c’è bisogno di aggiungere altro, io mi arrendo.

La guida è scaricabile da qui.

I cowboy fantasma colpiscono ancora

Carta

.book by Barbara Piancastelli (source Flickr - CC-BY-NC-SA)

Quest’estate passeggiavo per i paesini dell’Appennino Bolognese con un’amica pittrice, e lei mi parlava del suo amore per la materia, il contatto fisico con essa, il lavoro manuale e la creatività artistica che ne può scaturire. Lei studiava come riprodurre la matericità delle cose – le texture delle pietre, gli aloni delle carte, le venature dei legni – attraverso la pittura. Per questo ho approfittato delle mie (ahimè poche) conoscenze bibliologiche per spiegarle i diversi tipi di carta impiegati lungo la storia del libro, dalla pergamena alla carta di stracci, fino alla carta industriale dei tascabili Gallimard che ingiallisce e si sgretola dietro i vetri della BNF. A un certo punto, lei ha commentato il suo interesse per la questione con una frase che mi aspettavo, ma che è comunque riuscita a spiazzarmi. Ha detto: “questa attenzione per la carta come materiale diventa sempre più importante, perché la carta, se ci pensi, è qualcosa che oggi giorno i nuovi strumenti di lettura digitale ci stanno togliendo“.

Visto che la mia vita è dominata dallo Spirito della Scalinata, mi tocca scrivere qui quello che avrei voluto risponderle, per dare una luce più ampia alla questione e trasformare la paura di povertà nella meraviglia della possibilità.

Il fatto è questo. L’amore che abbiamo per la carta – e per i libri, e per il loro odore, e per le macchie di giallo che si formano con il tempo quando li dimentichi al sole – deriva dal fatto che per secoli è stata il mezzo con cui abbiamo trasportato le parole e i pensieri che ci hanno fatto vivere. Le poesie e i romanzi, la scienza e la filosofia. Hanno vissuto sulla carta e ce li siamo passati di mano con la carta. Ma la carta è un messaggero, non è il messaggio. Noi la amiamo per quello che ha trasportato, non per la sua natura in sé. Questo significato lo abbiamo aggiunto noi attraverso l’uso che ne abbiamo fatto, non era intrinseco nella sua natura. Ma sarebbe sbagliato dimenticare il messaggio per il messaggero.

Oggi a trasportare questi messaggi ci sono altri messaggeri. Ci sono i bit, gli e-book reader, i network. Ci sono libri codificati nel DNA. Ci sono nuovi modi per creare e condividere questi messaggi. È più brutto? No. È meno “fisico” e materiale? Sì, a meno di non riuscire a comprendere tangibilmente il digitale (lo so, la fantascienza tutta si sta bagnando a solo leggere queste mie righe). È qualcosa che ci impoverisce? No – non solo perché la carta non morirà mai (anche se dovesse vivere solo nella pittura della mia amica, o nelle lettere d’amore, o nei paralumi cinesi) ma soprattutto perché, come direbbe Feynman, tutto questo “non sottrae” niente. (Parafrasando il fisico, mi viene da chiedermi che razza di scrittori sono questi, che riescono a immaginare il mondo come una grande biblioteca, ma non riescono a immaginarlo come un’immensa rete di connessioni digitali?)

E, soprattutto, perché quello che conta veramente è il messaggio, non il messaggero. Impareremo ad amare anche questi messaggeri. Impareremo a creare una filìa anche del digitale. Ci saranno dei Borges che ne scriveranno, edificando mondi e suscitando suggestioni.

The Doctor in the (digital) library
P.S.: questo post si collega lateralmente a un tema discusso sul blog di Virginia Gentilini, a cui voleva essere un commento.

P.P.S.: visto che niente avviene per caso, ieri sera mi è capitato di vedere una delle più belle puntate del Doctor WhoSilence in the Library – in cui non solo la biblioteca ritorna a essere metafora dell’universo, ma questa metafora include la persistenza digitale dei ricordi, dei pensieri, delle anime. L’episodio non è recente, ma credo che sia la prima volta che trovo una rappresentazione popolare così efficace e toccante della biblioteca digitale. La mia anima nerd e quella bibliotecaria, grazie al Dottore, si sono prese per mano e si sono commosse.

Carta

La biblioteca pervasiva – 2

Avevo visto giusto, tempo fa, quando parlavo di biblioteca pervasiva, proponendo che il ruolo delle biblioteche si liberasse dal luogo fisico e si trasformasse in un’azione diffusa, diretta e dinamica da parte dei bibliotecari.

D. Lankes viene a portarci la luce
D. Lankes viene a portarci la luce

Tutto questo infatti trova conferma in David Lankes, che è venuto da noi a tenere una bellissima lezione su quella che per lui è la nuova strada della biblioteconomia. Nella bella cornice di Settignano, durante la nostra fortunata summer school sulle colline di Firenze, rosolati dall’afa e consolati da vino e buon cibo, Lankes si è mostrato un affascinante ed entusiasta compagno di conversazioni. In una fantastica lezione di quasi 3 ore ci ha esposto la sua visione della nostra professione; una visione che ruota interamente intorno al bibliotecario e non alla biblioteca. Alla persona capace di creare una relazione dinamica di apprendimento e conoscenza (una “conversazione”, per usare la sua terminologia) anziché alla biblioteca come luogo fisico, unico, inerte, pieno di “cose”.

Finalmente Ibs mi ha spedito il suo Atlas of the new librarianship, un bel tomone quadrato di 7 kili di pagine lucide comprese fra una solida copertina cartonata e che contiene, a metà fra il supporto e il gadget, anche una bella mappa che dispiega i concetti dell’Atlante – subito appesa sopra il mio letto. Ora inizio con gusto a percorrere le sue carte, dopo che altri lo hanno già fatto lasciando dietro le prime riflessioni.

Al di là dell’americanità del contesto e dello stile retorico, al di là delle facili provocazioni, al di là di un sistema filosofico non proprio impermeabile (ho letto di qualche critica al suo impianto teorico) è comunque un’opera che porta tanta aria fresca alla visione di quello che facciamo. E sono contento di trovare conferme a quelle sensazioni che mi si stavano formando dentro negli ultimi due anni.

The Atlas
Atlante reggeva il peso del mondo, ma chi regge il peso dell'Atlante?

Oltretutto la visione di Lankes ci permette anche di salvare, in questi tempi di roghi digitali, il termine biblioteca e bibliotecario, almeno in inglese: la parola “librarian” contiene la radice latina liber – dove l’italiano usa quella greca – quindi possiamo conservare il concetto di libro (come item fisico ormai parzialmente superato) arricchendolo del concetto di libero. Ed ecco che si conferma il tema della missione educativa e formativa, che ricorre con insistenza per tutta l’opera.

La biblioteca pervasiva – 2

CPD23 thing 3: the personal brand

I’ve been thinking about my personal “brand” since at least one year. Moving into the blogosphere, I realized how much is important that your online existence is consistent and clear. And I have to start with the first important acknowledgment: almost everything I know about this topic, and upon which I built my “online presence”, comes from an article by Danah Boyd, Controlling your public appearance; another useful source of inspiration comes from Jenica Roger’s Notes on Online identity. You can just read those two pages and drop this one, because that is all you need to know. Seriously, they are really great.

Since I see that a lot of #cpd23 participants are totally new to the blogging world, I start with sharing some golden rules that I learnt on the way and that I try to apply as much as I can:

Dave McKean - Brief Lives cover
Dave McKean - Brief Lives
  1. You are an individual, and your blog must represent you. So be original, pick up a good name (if you can’t find a smart and meaningful catchphrase, just use your own name!), and customize your theme.
  2. Pick up an icon, and use it everywhere like your Avatar, your Logo, your Symbol, your Badge, your Banner, your Seal. That is what I’ve been doing lately: the great picture you see in the sidebar was taken by a dear friend, and it represents me so well that it became my Logo in every other online presence that I have.
  3. Don’t be sloppy: what you write is what you show, so spellcheck what you write, think before posting, put judgment in what you do. Your words are likely to survive the intention from which they were born, so think carefully about what you write and how you write it. This of course applies also for comments and replies. Polish and smooth your temptation of being cool, arrogant, clever.
  4. Participate. A blog is not a dashboard or a press agency, but it’s meant for confrontation. Don’t avoid comments and interaction. In and out of your blog: always sign your comments with your nickname, and stick to it!
  5. Always reply comments. This makes people feel welcome, and shows that you are alive and listening. The computer screen is dumb and cold, so you need to put a spark of life into it.
  6. Tag your content. Tag tag tag! If you want to be an information professional, there is no need to stress on the importance of metadata, right?
  7. Provide links. Links links links! Run this hypertextual machine to the extreme: link what you say to what inspires you, and cite sources.
  8. Connect your identities: twitter, identi.ca, skype, rss, flickr, anobii, mendeley, citeulike are all sides of your identity. Web technicians work hard to make these tools talk to each other, so use their potentials. And make them all part of your identity: use your avatar and your nickname so people can make connections around you (see point 2).
  9. Don’t be anonymous, as much as you can. Use this tool to enforce and strengthen your physical and offline identity. After all, everything you do must converge to your real you: otherwise your online presence will be useless and deaf. You don’t want to get stuck inside the “echo chamber“, do you? Your online presence must feed on your offline presence, and viceversa: I found a clear point about this here: http://kloutbait.tumblr.com/post/6975130290/improving-online-influence-step-1.

These of course are just my rules and results: I don’t know if they are well accomplished, successful, or reasonable. But you can see the fruits all around you: my blog theme, colours and style, is built around them. I like black and dark appearance, but I also offer an alternative white theme which can be more readable; but I tried to customize my theme as much as possible, because I wanted it to be my page; the drawing in the headline also is made by me, and I want it to represent my approach and vision, a documentary world which easily goes from paper to machinery. Language is part of the content, language shapes the content, so I find extremeley important to cultivate your own language, both in the visual and in the textual aspect.

Ah, and even though checking your visits and statistics is a good sport, don’t be too obsessed by that: Google will find you eventually, if you play it correctly :-).

CPD23 thing 3: the personal brand