Il convegno delle Stelline, un po’ come il Salone del Libro di Torino, è un evento molto bello principalmente per un motivo: la frenetica attività di amicizie, rete, conversazioni, incontri, saluti che si riesce a fare. Ho incontrato amici e colleghi, e ho gioito con tutto il cuore nel provare che molti miei amici sono anche colleghi, e penso che il lavoro dovrebbe essere questo, persone che insieme fanno quello in cui credono, che amano, con entusiasmo e divertimento.
Ho seguito alcuni interventi molto belli (Baudo, Bon, Blasi, Roncaglia, Zanni, Paiano, fra gli altri). A volte si ha la fortuna di sentire cose molto interessanti, che per una volta stimolano il pensiero, gettano una luce nuova, suggeriscono qualcosa. Si esce un po’ arricchiti. E anche confusi perché no, non tutto si riesce capire e non tutto è realizzabile; ma con qualcosa più di prima sicuramente.
E poi ci sono sempre i “vecchi”. Quelli che non solo ripetono da 40 anni le stesse cose, ma con l’orgoglio piccato del nonno che agitando il bastone se la prende con i bambini che giocano sul suo prato ribadiscono che certe cose “non si possono fare”, altre cose “non si possono dire”, questo o quello è “sbagliato”.
Maria Stella Rasetti ha concluso il suo intervento sui Maker Space con una citazione che adoro:
Quelli che dicono che una cosa non si può fare, sono pregati di farsi da parte e non disturbare quelli che la stanno facendo.
Sul finale di venerdì, dopo l’intervento di Andrea sulle forme di comunità e collaborazione nel mondo digitale, alcune reazioni mi hanno fatto venire in mente i versi di Bob Dylan.
E’ curioso come una canzone del 1964 (più vecchia di SBN!) riesca a essere più nuova e fresca di tante parole pronunciate già vecchie. E mentre la ricanto nella mia testa, aspetto con il volto sereno che tutto passi, che le acque salgano, che la vecchia strada rimanga pian piano alle spalle.
Come gather ‘round people
Wherever you roam
And admit that the waters
Around you have grown
And accept it that soon
You’ll be drenched to the bone.
If your time to you
Is worth savin’
Then you better start swimmin’
Or you’ll sink like a stone
For the times they are a-changin’.Come senators, congressmen
Please heed the call
Don’t stand in the doorway
Don’t block up the hall
For he that gets hurt
Will be he who has stalled
There’s a battle outside
And it is ragin’.
It’ll soon shake your windows
And rattle your walls
For the times they are a-changin’.Come mothers and fathers
Throughout the land
And don’t criticize
What you can’t understand
Your sons and your daughters
Are beyond your command
Your old road is
Rapidly agin’.
Please get out of the new one
If you can’t lend your hand
For the times they are a-changin’.As the present now
Will later be past
Your old road is
Rapidly fadin’.
And the first one now
Will later be last
For the times they are a-changin’.(Bob Dylan, The Times, They are A-changin’)
[…] La morale di questo aneddoto? Dire “non ho le competenze, non lo so fare” è una maledetta scusa. Le competenze si sviluppano. Punto. Questa cosa vale ancora di più per i bibliotecari che vogliono fare i formatori sulle loro competenze, ma mai mollare il terreno su cui sono abituati a pascolare. Non è arrogante permettersi di dire sempre come ho sentito ancora quest’anno al convegno “Gli utenti non hanno le competenze e non vogliono imparare” (a cercare nel catalogo, a capire collocazioni e regole astruse), senza chiedersi quali competenze da parte nostra servono loro? Entrando alle Stelline per festeggiare i suoi 20 anni, per me che le frequento da 15, ho notato subito che mai come quest’anno c’era la polarizzazione (a anche una certa aria di sfiga). Bibliotecari divisi in due: quelli attaccati alla sedia, a quello che hanno sempre fatto e invece chi crede che le cose possano essere fatte diversamente. Come dice il mio amico @fraenrico in un bel post […]
Appropriata citazione. 🙂