Bibliotecari al tempo di Twitter

Al convegno delle Stelline quest’anno ho twittato molto. Ho passato gran parte del tempo chino sul mio portatile o sul telefono a riportare quello che sentivo, a leggere i commenti altrui, a seguire gli interventi in maniera allargata, partecipata, includendo anche chi non era presente. La cosa che più mi piace di Twitter è la sua capacità di creare “spunti conversazionali” (per rubare un’espressione aulica da R. Casati). Le riflessioni e le citazioni captate al convegno, inizialmente decontestualizzate e appuntate sulla bacheca online, possono servire da base per un discorso da approfondire in seguito. E possono farlo in tempo reale, mentre la conversazione avviene.

Sin dal primo momento, però, ho avuto una sensazione strana, qualcosa che non mi piaceva. Mi sembrava che la comunità attorno a me fosse molto poco sensibile a questa dimensione virtuale che ormai da anni Twitter aggiunge ai convegni professionali (guardandomi indietro ho ritrovato, ad esempio, questo articolo su The Chronicles of Higher Education).

Per cominciare con una piccolezza, l’uso stesso dello strumento pareva approsimativo: accanto all’hashtag “ufficiale” #convegnostelline, indicato dal sito del convegno, erano molto usati anche due hashtag: #stelline16 e #bibliostar (che in realtà non indica il convegno quanto la fiera di espositori presente al convegno). Niente di male in questo: l’utilizzo spontaneo di certi hashtag nasconde sicuramente dei significati di valore che io non ho i mezzi per interpretare. La discrepanza però non ha aiutato alla coesione dell’intera conversazione:

@___agata___ #bibliotecari al tempo di google ma non sappiamo manco che hashtag usare

Alcuni usavano come hashtag il nome di una persona, anziché il suo twitter username – niente di grave. Altri twittavano senza usare gli hashtag del convegno, rimanendo quindi estranei alla conversazione: cosa già più inspiegabile.

Ma soprattutto ho avuto l’impressione iniziale che i tweet venissero sempre dalle stesse persone. Mi pareva che a commentare gli eventi o a raccogliere citazioni interessanti fosse un cerchio ristretto di utenti molto attivi, di pochi geek insomma.

Marco Goldin vicino a me stava portando avanti un lavoro eccellente di data mining e social analysis, i cui risultati ha esposto esaurientemente in un post dove spiega bene i numeri e quello che vogliono dire, traendo conclusioni data-based sulle relazioni.

Questo è un bibliotecario
Marco Goldin è un bibliotecario, al lavoro.

Dalle prime analisi fatte giovedì notte sul divano abbiamo riscontrato che il numero totale di tweet era effettivamente basso per un convegno così intenso di eventi e affluenza, e che la mia impressione iniziale sembrava trovare conferma: a usare Twitter era una minoranza estrema dei partecipanti.

Alla fine dei lavori e dopo un’analisi più accurata il numero dei twittatori si è dimostrato meno basso di quanto mi era sembrato, e il mio disagio si è attenuato. Tuttavia è impossibile non notare la bassa presenza delle istituzioni ma soprattutto dei vendor commerciali. A parte il “mostro” MLOL (l’account più attivo in assoluto) sono quasi assenti dalla conversazione di Twitter le aziende che operano nel settore.

Mi stupisco di quanto eccezionali paiano pratiche e strumenti con cui ormai, specie nel nostro mestiere, dovremmo avere una certa confidenza. Pensavo a Danah Boyd, di quando parlava della sua vita cyborg: essere connessi può essere un’estensione della presenza, e non una distrazione. Un contesto così fervente e dinamico e popolato come il Convegno delle Stelline (forse l’occasione di incontro più ricca che abbiamo in Italia nel nostro mestiere) è il luogo naturale per tuffarsi in questa estensione.

A un certo punto, una collega seduta dietro di me mi vedeva trafficare di fronte alla mia densa schermata di TweetDeck, e mi ha chiesto se fossi parte dell’organizzazione dell’evento. Ho dovuto spiegarle che la mia attività era semplicemente personale, e che ero un partecipante come tutti. L’eccezionale era ordinario.

Il tema del convegno era “I bibliotecari al tempo di Google”. Devo citare un’osservazione di Leombroni che mi ha molto divertito:

Google ha vent’anni: i bibliotecari, di conseguenza, vivono al tempo di Google da vent’anni. Intitolare un convegno in questo modo, come a indicare un’epoca di rottura e innovazione inesplorata, significa partire già in ritardo.

Viene immediatamente spontaneo chiedersi quando intitoleremo un convegno ai “bibliotecari al tempo di Twitter”, e se saremo pronti allora.

Bibliotecari al tempo di Twitter

Biscotti, literacy e biblioteche

I cookie, il web

Una legge europea, interpretata dal garante italiano con zelo bizantino, vuole che i siti internet informino esplicitamente gli utenti della presenza dei cookie. Vogliono, in parole povere, che dichiarino l’ovvio.

Questa legge, lo hanno detto in molti, è sciocca. E’ beyond common sense. Non mi interessa commentarla, ma voglio usarla come spunto per un discorso particolare.

Una simile legge è la conferma che la maggior parte delle persone (ahimè, politici in primis) continua a vedere il mondo del web come il vecchio mondo della comunicazione e della pubblicazione: un noi contro loro – da una parte i produttori di conoscenza e informazione, gli editori, gli autori, i giornali, dall’altra i cittadini “normali”, i lettori, i consumatori.

Il web questa cosa l’ha distrutta. Lo ha fatto 25 anni fa e lo ha fatto per design: il web è stato creato per connettere nodi diversi che possono avere tutti la stessa autorità, per comunicare agilmente in maniera *anche* orizzontale.

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Biscotti, literacy e biblioteche

Fatevi da parte, se non potete aiutare

Il convegno delle Stelline, un po’ come il Salone del Libro di Torino, è un evento molto bello principalmente per un motivo: la frenetica attività di amicizie, rete, conversazioni, incontri, saluti che si riesce a fare. Ho incontrato amici e colleghi, e ho gioito con tutto il cuore nel provare che molti miei amici sono anche colleghi, e penso che il lavoro dovrebbe essere questo, persone che insieme fanno quello in cui credono, che amano, con entusiasmo e divertimento.

Ho seguito alcuni interventi molto belli (Baudo, Bon, Blasi, Roncaglia, Zanni, Paiano, fra gli altri). A volte si ha la fortuna di sentire cose molto interessanti, che per una volta stimolano il pensiero, gettano una luce nuova, suggeriscono qualcosa. Si esce un po’ arricchiti. E anche confusi perché no, non tutto si riesce capire e non tutto è realizzabile; ma con qualcosa più di prima sicuramente.

E poi ci sono sempre i “vecchi”. Quelli che non solo ripetono da 40 anni le stesse cose, ma con l’orgoglio piccato del nonno che agitando il bastone se la prende con i bambini che giocano sul suo prato ribadiscono che certe cose “non si possono fare”, altre cose “non si possono dire”, questo o quello è “sbagliato”.

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Fatevi da parte, se non potete aiutare

Roma

E così sono a Roma.

La più grande, la più bella, la più splendida –

Le strade tuttavia sono sporche.

Ah, e nessuno ti cede il passo. D’altronde negli stessi corridoi della Scuola della Cortesia, chi farebbe altrimenti, quando i muri sono imbrattati di m..a?

(Laurence Sterne, The Life and Opinions of Tristram Shandy, gentleman, 7, XVII)

Faccio mie le parole di Tristram Shandy (ma lui parlava di Parigi…) appena muovo i primi passi nella mia nuova città.

La grande bellezza, Paolo Sorrentino, 2013
La grande bellezza, Paolo Sorrentino, 2013

Da oggi infatti sono a Roma, a lavorare per la Biblioteca e Knowledge Centre del NATO Defense College.

Inizio una nuova pagina della mia vita, un cambiamento che ho voluto molto, cercato a lungo, iniziato in un cammino di un anno fa; un tentativo di aprire finestre diverse, e far entrare arie nuove.

La prima grande bellezza è stata partire con il supporto di tanti amici (e che lunga partenza, e che lungo supporto!). Adesso siamo qui, e vediamo che succede!

Roma

Alcune riflessioni sull’Atlante

Riassumo qui tre riflessioni, e una conclusione, proposte dal pubblico durante la presentazione dell’edizione italiana dell’Atlante di Lankes al Salone del Libro, lunedì 12 maggio scorso, in seguito agli interventi mio e di Silvia Franchini. Vi avviso, è un po’ lunghetto.

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Alcune riflessioni sull’Atlante